Promuovere la propria identità nella rete 2.0

Identity

Una delle questioni che sta più a cuore alle aziende è – senza ombra di dubbio – come poter proporre il loro modello di business in rete in maniera efficace. Ecco dunque che nascono le agenzie specializzate che si occupano di costruire un’identità (sociale e professionale) dell’impresa nel Web.

Se una volta era sufficiente un sito internet che fungesse da vetrina fine a se stessa e da repository semplice per il materiale, oggi la partecipazione dell’azienda nel web deve essere di altro tipo.

La questione centrale diventa quindi quella di adottare determinate strategie per ottenere risultati efficaci in questo campo.

Proviamo a delineare alcune colonne portanti attorno al quale costruire un discorso di questo tipo. Per prima cosa dovrebbe essere necessario domandarsi se la nostra azienda abbia davvero bisogno di investire in questo senso e se, davvero, una politica del genere possa essere l’ideale per la nostra realtà. Se ci occupiamo di innovazione e internet (ma non solo) e vogliamo essere visibili ovunque una buona idea potrebbe essere quella di dedicare delle risorse alla creazione di profili aziendali su siti specifici e su social-network dedicati, promuovere la propria immagine con un blog, aprire un social-network aziendale, un canale ufficiale su YouTube, una pagina su MySpace, etc.

Ciò che non deve accadere è il farsi prendere troppo la mano e investire in maniera sconsiderata risorse che potrebbero essere gestite in maniera decisamente più intelligente per l’azienda.

Ovviamente per chi avesse già maturato una consapevolezza in tale campo, non resta che rivolgersi a professionisti del settore che siano in grado di consigliare quale strategia sia meglio adottare in funzione dei propri obiettivi.

Pensando ad un possibile planning di questi approcci, generalmente ci si muove in questo modo:

  1. Si cercano i volontari o le persone interessante a parlare di noi e dei nostri prodotti.
  2. Si offrono le ragioni per poter parlare di questi prodotti alle persone che abbiamo selezionato o che si sono offerte (occasioni speciali, prodotti particolarmente interessanti, etc.)
  3. Si potenzia la comunicazione impiegando gli strumenti adatti e favorendo la diffusione del buzz: blog, e-mail, social-netowrk, video, games, e tutto quello che può essere utile ad aumentare la risonanza di quello che facciamo.
  4. Si prende parte alla conversazione si aiuta la diffusione del buzz partecipando in maniera attiva.
  5. Si monitorano gli andamenti delle conversazioni e si raccolgono feedback fondamentali per correggere il proprio comportamento.

Per tutte le aziende – invece – che magari non abbiano un sostrato particolarmente favorevole per una promozione in questa direzione, consigliamo di potenziare prima di tutto i canali tradizionali, perché fungano da base di supporto a possibili sviluppi futuri.

È bene precisare, sempre, che non esistono metodi di promozione efficaci in assoluto, ogni realtà deve potersi ritagliare uno spazio personale e promuovere la propria specificità in un certo modo. I risultati migliori si ottengono – quasi sempre – quando si comprende questo punto fondamentale.

Una volta compreso che cosa sia il buzz, diventa fondamentale indagare quali siano le dinamiche che stanno alla sua base e per fare questo, molto spesso si ricorre a veri e propri professionisti delle analisi che si occupano di monitorare e analizzare il comportamento delle utenze e del prodotto in rete.

Ma come indagare quanto accade in rete? Come monitorare l’andamento di un prodotto? Come verificare se sia presente o meno una campagna virale? O se questa campagna virale abbia avuto o meno l’effetto sperato?

A queste domande si tenta di dare risposta sfruttando metodi di ricerca in rete che, anche in questo caso, si discostano da quelli tradizionali, per alcune ragioni fondamentali. In questo tipo di ricerca il semplice dato quantitativo non è mai completo né soddisfacente, tant’è che si ricorre molto spesso – se non sempre – ad analisi anche qualitative che integrino i risultati già noti e offrano profili definiti che determinino la posizione di un determinato prodotto, o servizio, all’interno delle reti sociali e della rete globale.

Passando al lato pratico possiamo distinguere alcune metodologie impiegate dai ricercatori di questo campo che si differenziano (anche se non di moltissimo) dalle ricerche di marketing tradizionale.

Vediamo assieme alcuni passaggi chiave:

  • Analisi delle reti sociali: la social-network analysis è la traduzione in digitale dei principi che muvono le analisi sociologiche ed economiche nella vita reale. Alla base di queste teorie c’è una rappresentazione della società come reticolo di relazioni: ogni individuo è inteso come un nodo dal quale si diramano diversi legami. La comprensione di questi legami chiarisce il ruolo e il peso che ogni nodo ha all’interno della rete.
  • Analisi delle comunità on-line: l’analisi delle community è largamente impiegata in termini di marketing on-line e di ricerche di mercato. Si tratta di analizzare e indagare, attraverso osservazione non partecipante e monitoraggio costante le opinioni, i pensieri e le credenze delle utenze. Entrare in un gruppo per comprenderne i capisaldi.
  • Etnografia digitale: il ricercatore che adotta un metodo etnografico entra a far parte a tutti gli effetti della comunità che vuole studiare. Nel caso dell’approccio digitale si distinguono due classi di partecipazione: nel caso si tratti di partecipazione non attiva si parla di lurking, azione tipica di forum, newsgroup e affini, di chi, pur facendo parte del gruppo non partecipa mai alle conversazioni. L’altro tipo di partecipazione coinvolge invece il ricercatore in maniera diretta e concreta. La social-network analysis è una branca di questo tipo di analisi.

In casi come questi si cerca di comprendere quali siano i messaggi più significativi lasciati dalla utenze e quali dinamiche si creino all’interno di community ufficiali e non. Si effettuano, generalmente, analisi sommarie che mirano ad individuare le conversazione e i messaggi più interessanti e poi si procede con l’analisi – più accurata e attenta – qualitativa dei messaggi estratti.

Analizzare il buzz attorno ad un prodotto – è bene chiarirlo – non è affatto cosa semplice, abbiamo visto che tale fenomeno si muove in direzioni non lineari, molto spesso di difficile controllo, a volte anche negative e controproducenti per l’azienda stessa. Per chi effettua ricerche di questo tipo è necessaria non solo un’ottima conoscenza degli strumenti tradizionali, ma anche una buona dose di creatività.

Conclusioni

Giungendo al termine del nostro discorso ci preme mettere l’accento su alcune questioni rilevanti.

Abbiamo visto come il buzz marketing possa essere uno strumento davvero interessante, ma anche come possa rivelarsi – inaspettatamente – fonte di danni non trascurabili per una azienda. Che cosa fare dunque?

Sicuramente non ci si può limitare ad ignorare ciò che accade, sperando di poter sopravvivere per inerzia. Nasce la necessità di reinventarsi e di reinventare i propri schemi: l’unica chiave che può aiutarci in tal senso è la consapevolezza del mezzo che utilizziamo, che si elabora attraverso una costante osservazione di ciò che ci circonda. Impariamo a notare i segnali di un buzz, a proporlo noi stessi, a cavalcare un successo emergente e a monitorare ciò che proviene dalla utenze. Perché proprio come afferma Eric S. Raymond: «La cosa migliore, dopo l’avere buone idee, è riconoscere quelle che arrivano dagli utenti. Qualche volta sono le migliori».

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Informazioni su marcusfumo

Nato nel 1973, laureato all'Università degli studi di Palermo in Economia e Commercio nel 1999, gestisce l'azienda di famiglia aprendo nuovi canali commerciali nell'ambito del contract e dell' e-commerce; ha collaborato come Marketing Advisor con il gruppo Virgin e con l' Aston Business School; docente di economia aziendale ha conseguito nel 2013 l'abilitazione all'insegnamento in scienze economico aziendali presso l'Università di Enna Kore dove nel giugno 2014 ha conseguito un Master in Didattica e psicopedagogia sui Disturbi specifici di apprendimento
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